Regime sanzionatorio Regione Lazio GEOPUNTO n. 91
Recependo il principio di uguaglianza e ragionevolezza espresso dalla Corte Costituzionale, la Regione Lazio ha completamente rivisto il regime sanzionatorio relativamente agli interventi, in totale difformità o con variazioni essenziali realizzati senza titolo e quindi nel regime dell’accertamento di conformità.
La Regione Lazio ha rivisto il regime sanzionatorio dell’art. 22 con le modifiche intervenute con la L.R. 1/2020, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2019 che ha annullato il comma a) dell’art. 22, relativamente agli interventi di nuova costruzione, in totale difformità o con variazioni essenziali realizzati senza titolo e quindi nel regime dell’accertamento di conformità, che prevedeva una sanzione pecuniaria pari al valore dell’intervento eseguito.
Analisi della Sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2019
Tutto nasce da un immobile realizzato senza titolo edilizio, ma conforme agli strumenti urbanistici attuali ed in vigore al momento della sua realizzazione (cd. Doppia conformità ex art. 36 TUEd). Il committente rifiuta il pagamento della sanzione pecuniaria, facendosi di fatto negare l’accertamento di conformità richiesto, alludendo al fatto che la sanzione richiesta ai sensi dell’art. 22 comma a) non rispettava il rispetto del principio di uguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3 della Costituzione Italiana.
La Corte Costituzionale ritiene fondata la censura, che prospetta la violazione, da parte del legislatore regionale, del principio di ragionevolezza.
Viene fatto riferimento alla proporzionalità della sanzione, prendendo come riferimento l’art. 38 del TUEd, relativo ad interventi eseguiti sulla base di un permesso di costruire annullato d’ufficio, le cui sanzioni sono equiparate dalla vecchia legge regionale ma, di fatto, si riferiscono a due casistiche completamente differenti. Da un lato un intervento eseguito senza titolo ma conforme agli strumenti urbanistici, dall’altro un intervento eseguito in difformità sulla base di un titolo edilizio annullato dal Comune e non demolibile, pertanto si sottintende non rispondente agli strumenti urbanistici.
Nella sentenza si legge che la previsione di identiche conseguenze per condotte omogenee, ma caratterizzate da un minor disvalore dell’una rispetto all’altra, si traduce in una violazione del principio di ragionevolezza che designa l’illegittimità costituzionale della norma in esame per violazione dell’art. 3 Cost., con assorbimento dell’ulteriore profilo di censura ad essa riferito.
Questa la motivazione della Corte Costituzione che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera a), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico‐edilizia). Restano invariati i regimi sanzionatori delle lettere b) e c) del medesimo articolo.
Riflessioni giuridico operative sulle sanatorie in corso
In base al principio tempus regit actum[1],per le sanatorie “rilasciate” successivamente all’entrata in vigore della L.R. 1/2020, dovrà ritenersi necessario quantificare l’oblazione in base a tale legge e non in base alle disposizioni abrogate.
Il richiamato principio del tempus regit actum peraltro trova applicazione non solo ai permessi di costruire in sanatoria ma anche alle SCIA in sanatoria (sia ex art. 22 TUEd sia ex art. 23 TUEd, come da – peraltro discutibile – prassi consolidata al livello laziale, sulla quale non è questa la sede per soffermarsi).
Ciò in quanto, sempre per rimanere in tema di “prassi”, l’attuale linea interpretativa seguita dalla Regione Lazio è quella per cui a fronte di una SCIA ex art. 22 L.R. 15/2008 il titolo in sanatoria necessita, per la sua formazione, di un atto espresso (parere regionale prot. 0705439 del 9.11.2018). Così ragionando, dunque, la data a cui guardare per individuare la norma applicabile ai fini della individuazione della oblazione dovuta è quella del provvedimento in cui l’Amministrazione attesta l’avvenuta sanatoria a seguito della SCIA ex art. 22 L.R. 15/2008[2].Da tanto consegue, ulteriormente, che se nella pratica di SCIA in sanatoria, presentata prima della L.R. 1/2020, era stata quantificata una oblazione in base alla precedente versione dell’art. 22 L.R. 15/2008, si può senz’altro immaginare (a buon diritto, sulla base dei principi esaminati fin qui) di chiedere il conguaglio (evidentemente in positivo, in questo caso).
Riflessioni giuridico operative sulle sanatorie compiute antecedentemente all’entrata in vigore della L.R. 1/2020
Qui il discorso è (ancora) meno lineare e lo si affronta avvertendo che le ipotesi che ci si accinge a sottoporre sono suscettibili di esiti non certi.
Infatti, a stretto rigore è del tutto legittimo che l’oblazione sia stata richiesta/liquidata secondo le previgenti regole.
Tuttavia, è ipotizzabile (condizionale d’obbligo), a fronte di una oblazione quantificata ante L.R. 1/2020, la via della “rideterminazione”.
Il primo caso – il “meno complesso” – è quello di una oblazione versata in base ad un titolo in sanatoria ancora impugnabile[3]. In tale ipotesi, ben potrebbe impugnarsi il titolo (ancorché favorevole, in merito all’avvenuta regolarizzazione dell’opera), sollevando nel relativo giudizio questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, co. 2, lett. b), la quale potrebbe avere discrete possibilità di essere ritenuta fondata (per evidente simmetria/analogia a quella ritenuta fondata dalla Corte Costituzionale con la già esaminata Sent. 2/2019): in caso di accoglimento della questione, si produrrebbe la rimozione della “base” per l’imposizione dell’oblazione secondo l’art. 22, co. 2, lett. b) previgente.
Ben più complesso il caso di una oblazione versata e conseguente ad un “titolo in sanatoria” risalente ad oltre 60/120 gg.: in tal caso non vi sarebbe più la possibilità di impugnare il titolo in sanatoria.
Potrebbe quindi, in tale più complesso caso, ipotizzarsi di avanzare una azione giurisdizionale per la rideterminazione dell’oblazione, la cui ammissibilità (ossia: tempestività) potrebbe essere sostenuta in base a quella giurisprudenza secondo cui tali azioni di accertamento sono soggette non al termine di impugnativa del provvedimento di sanatoria (60/120 gg., come detto) ma in quello di prescrizione ordinario di 10 anni (ad es. TAR Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 13.6.2017, n. 201). Anche in questo caso, nel giudizio potrà essere sollevata la già ipotizzata questione di legittimità costituzionale.
Infine, sempre seguendo il ragionamento appena svolto, è addirittura possibile ipotizzare anche azioni volte a far valere la già dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 22, co. 2, lett. a) della L.R. 15/2008 e, quindi, la rideterminazione dell’oblazione versata sulla base di una norma poi rivelatasi illegittima[4].
Una precisazione finale e che vale per tutte le sopra esaminate ipotesi di azioni volte al recupero di oblazioni “già versate”: secondo un orientamento giurisprudenziale (opposto quindi a TAR Emilia-Romagna 201/2017 prima richiamata), le somme corrisposte a titolo di oblazione non sarebbero mai contestabili dopo il versamento delle stesse (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.5.2017, n. 1056). Il che rende le ipotesi sviluppate comunque complesse, oltre che raccomandabile la immediata contestazione/impugnazione delle quantificazioni dell’oblazione.
Analisi della L.R. n. 1/2020 – Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione.
Le modifiche attuate dalla legge regionale 1/2020(pubblicata sul B.U.R.L. n. 17 supplemento n. 2 del 27/02/2020) sono molteplici, al momento analizzeremo esclusivamente il regime sanzionatorio che, a distanza di quasi un anno, il legislatore regionale ha completamente riscritto, recependo il principio di uguaglianza e ragionevolezza espresso dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2019. Il nuovo art. 2 comma 2 recita:
Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività in sanatoria (da intendersi oggi, in base al TUEd, segnalazione certificata di inizio attività) sono subordinati al pagamento, a titolo di oblazione:
-lett. Abis) nei casi previsti dall’art. 15, di un importo pari a tre volte il contributo di costruzione
-lett. B) nei casi previsti dagli art. 16 e 18, di un importo pari a due volte il contributo di costruzione
-lett. C) nei casi previsti dall’art. 19, di un importo da un minimo di mille euro ad un massimo di 10 mila euro, in relazione alla gravità dell’abuso. (si segnala che questo articolo non è stato riscritto)
Vediamo nel dettaglio le sanzioni pecuniarie:
TABELLA DI CONFRONTO DELLE SANZIONI PECUNIARIE | ||
L.R. 15/08 originale | L.R. 15/08 / L.R. 1/2020 | |
art. 15 | VALORE INTERVENTO | 3 X C.C.C. |
artt. 16/18 | 2 X INCREMENTO VALORE INTERVENTO | 2 X C.C.C. |
3 X C.C. | ||
art. 19 | DA 1.000 € A 10.000 € | DA 1.000 € A 10.000 € |
C.C.C. = contributo afferente il costo di costruzione art. 16 DPR 380/2001
C.C. = costo di costruzione su edifici esistenti è la stima dei lavori calcolato con computo metrico estimativo redatto con il prezzario regionale.
Si nota un cambiamento radicale del regime sanzionatorio, più in linea con quello previsto ed utilizzato fino al 2008 del testo unico, ad esempio la stima dei costi di regolarizzazione di una finestra con intervento = 2.000 € ha questa differenza di sanzione pecuniaria:
Precedente regime sanzionatorio, ante L.R. 1/2020
3 x C.C. + C.C.C. = (3 x 2.000 €) + (2.000 € x (R1+R2+R3)/100)
Ipotizzando R1+R2+R3 ≃ 8% otteniamo:
6.000 € + 160 € = 6.160 € oltre i diritti di segreteria
Attuale regime sanzionatorio, post L.R. 1/2020
2 x C.C.C. + C.C.C.
Ipotizzando R1+R2+R3 ≃ 8% otteniamo:
160 € + 320 € = 480 € oltre i diritti di segreteria
Appare lampante la sragionevolezza del precedente impianto normativo, circa 13 volte l’attuale in termini economici della sanzione pecuniaria richiesta. Lo stesso vale anche per gli interventi di cui alla lettera a) che, dapprima andavano calcolati secondo il principio del valore ed oggi hanno 3 volte il contributo afferente al costo di costruzione, in questo caso c’è un gap ancora maggiore tra i due principi sanzionatori adottati.
E la delibera 44/2009 di Roma Capitale?
Qui si annida un problema non indifferente: tecnicamente tale delibera – che si fonda proprio sul “vecchio” art. 22 L.R. 15/2008 – è ancora in vigore e “teoricamente” sino alla sua rettifica da parte di Roma Capitale gli uffici sarebbero tenuti ad applicarla, così “dovendo” giungere ad adottare provvedimenti illegittimi.
Tuttavia, nell’applicare la stessa, si perverrebbe necessariamente ad un provvedimento illegittimo, in quanto violativo del (nuovo) art. 22 L.R. 15/2008. È auspicabile, quindi, non solo che Roma Capitale riveda – con urgenza – l’intero impianto della Delibera 44/2009 relativamente alle oblazioni per accertamento di conformità ma che, nel frattempo, venga adottato un atto formale di indirizzo che inviti gli uffici competenti ad applicare direttamente la legge, “mettendo da parte” (disapplicando) la Delibera, ormai disallineata rispetto alla legge.
Ringrazio l’Avv. Andrea Di Leo, dello studio LEGAL-Team di Roma per la preziosa collaborazione alla stesura dell’articolo
[1] In base al quale si deve applicare la norma vigente al momento dell’adozione del provvedimento, anche ai fini della determinazione di quanto dovuto a titolo di oneri (Cons. Stato, Sez. IV, 9.7.2011, n. 4133).
[2]Diversamente, laddove si dovesse accogliere la tesi – seguita dalla giurisprudenza amministrativa e più aderente al TUEd – per cui il meccanismo di sanatoria è quello “silente”, ne conseguirebbe che il momento a cui guardare è quello della presentazione della SCIA, come ad esempio osservato da Cons. Stato, Sez. IV, 4.9.2012, n. 4669.
[3] Quindi risalente a non oltre 120 gg., termine per avanzare ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, o 60 gg., termine per agire dinanzi al TAR.
[4] Secondo un orientamento giurisprudenziale (ad es. Cass. Trib. 20.1.2016, n. 969) infatti le sentenze della Corte Costituzionale possono estendere i propri effetti retroattivamente con il solo limite dei c.d. rapporti esauriti (il che, in assenza di prescrizione, non potrebbe dirsi).
Agibilita’ GEOPUNTO n. 88
” Oggi le nuove norme hanno portato all’attuale Segnalazione Certificata per Agibilità, attestata da un professionista abilitato il quale, in tal modo, si assume interamente la responsabilità ai fini dell’utilizzo degli edifici. “
Agibilità non più certificata dal Comune ma dal Tecnico
La sentenza di Cassazione n. 2438/2016 ha portato in primo piano il problema dell’Agibilità, rimasto nel dimenticatoio dagli anni ’85 circa con l’avvento del primo condono edilizio che, di fatto, impediva anche nelle nuove costruzioni con difformità di ottenerla conseguentemente i lavori. In questi ultimi tre anni si è registrato un vero e proprio stravolgimento di una materia già più volte rivista nel corso degli ultimi 18 anni, con la certificazione che viene ormai richiesta da notai ed acquirenti ad ogni transazione immobiliare.
Un percorso che è iniziato con il silenzio assenso fino ad arrivare all’attuale Segnalazione Certificata per Agibilità che, ai sensi dall’art. 24 del DPR 380/01 come modificato dall’art. 3 del D.Lgs 222/2016, viene rilasciata dal professionista abilitato il quale, in tal modo, si assume interamente la responsabilità ai fini dell’utilizzo degli edifici. Inoltre, dal 2014 con il Decreto Sblocca Italia, è possibile richiedere (ed attestare) l’agibilità parziale per la singola unità immobiliare, purché vengano verificati tutti i requisiti delle parti ed impianti comuni.
È obbligatorio anche l’aggiornamento, parziale e/o totale, dei certificati esistenti ai sensi dell’art. 24 c. 2 lett. C del DPR 380/01 al variare delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti installati, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato (art. 24 c. 1 DPR 380/01). Oltre a questa separazione tra certificato nuovo ed esistente, a Roma abbiamo anche una problematica distinzione tra quanto oggetto di condono edilizio e permesso a costruire.
Benché la norma statale sia chiara, ad oggi l’Ufficio Condono Edilizio rilascia, con tipiche tempistiche, i certificati di Agibilità, mentre il D.Lgs 222/2016 aveva eliminato questa procedura. Le criticità che maggiormente si riscontrano, nell’espletamento degli incarichi per la consulenza tecnica nelle compravendite immobiliari residenziali, riguardano gli impianti, il risparmio energetico, il collaudo statico, la salubrità ed in ultimo (non per importanza) la conformità del progetto agli strumenti urbanistici.
Impianti di cui al DM 37/08 e ss.mm.ii.
Parliamo sia di impianti privati che delle parti comuni. Il D.M. 37/2008, che sostituisce la precedente L.46/90, all’art. 1 comma 2 classifica gli impianti oggetto di Dichiarazione di Conformità (Di. Co.) di cui all’art. 7 comma 1 del decreto. Per i soli impianti privati, eseguiti dopo il 1990 e prima del 2008, può essere redatta la Dichiarazione di Rispondenza (Di.Ri.) di cui all’art. 7 comma 6 del decreto.
Inoltre, per tutti gli impianti in opera prima del 1990 è possibile redigere una dichiarazione del proprietario con allegata verifica di un tecnico qualificato. Sia le Di.Co. che le Di.Ri. devono essere corredate obbligatoriamente (art. 7 c.1) della relazione dei materiali impiegati, dello schema dell’impianto oltre ai requisiti tecnico professionali, ed essere depositate dall’installatore presso lo sportello unico di Roma Capitale, Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica.
Risparmio energetico di cui al D.M. Mi.Se. 26 giugno 2015
Dall’entrata in vigore del Decreto del Ministero Sviluppo Economico del 26/06/2015 dove viene affrontata la riqualificazione energetica, questo aspetto non può essere assolutamente tralasciato essendo divenuto primario rispetto all’impianto originale del D.Lgs 192/05.
Ad oggi, ogni intervento conservativo involucro, dalla sostituzione della singola finestra, per passare al rifacimento della copertura o al ripristino della facciata deve prevedere un adeguamento della prestazione energetica del fabbricato. Intervenire, anche limitatamente, in un appartamento, in uno stabile in condominio nel rifacimento dell’impianto di climatizzazione invernale (ma anche estivo), come il classico distacco dall’impianto di climatizzazione centralizzato, senza depositare presso il Dipartimento Infrastrutture di Roma Capitale copia della relazione ex L.10/91 con il progetto energetico allegato rappresenta una grave mancanza.
Questo si applica anche alla sostituzione degli infissi (che può essere rimpiazzata in via esclusiva dalla dichiarazione del costruttore), all’installazione della climatizzazione estiva o anche a semplici interventi di manutenzione delle parti comuni (terrazzi e facciate). A completamento dei lavori è necessario produrre il certificato A.Q.E. che, previo deposito, dovrà essere allegato alla certificazione di Agibilità.
Collaudo statico
Il collaudo statico che riguarda tutte le strutture che hanno una funzione statica nasce con la legge 1086/1971 e riguarda le sole strutture in cemento armato, normale e precompresso, e le strutture metalliche. Viene solitamente richiesto quando si è chiamati a certificare un’agibilità ex novo, sia parziale che totale. L’amministrazione capitolina richiede il certificato di collaudo con l’espressa e puntuale indicazione dell’avvenuta esecuzione delle prove semidistruttive, per il controllo sulle strutture esistenti.
Il collaudo statico è finalizzato alla valutazione e al giudizio sulle prestazioni delle opere e delle componenti strutturali, ed essendo le strutture “inaccessibili” a lavori conclusi, per la redazione di un collaudo statico veritiero vi è l’obbligo di eseguire le prove semi-distruttive per la campionatura della struttura e le verifiche di laboratorio del calcestruzzo e acciaio. Salubrità ambienti Questo è un argomento che molte volte viene trattato con superficialità, limitandosi alla verifica sull’esistenza di eventuali muffe e/o infiltrazioni negli ambienti indoor.
Le verifiche che andrebbero condotte prima di attestare una condizione fondamentale per l’agibilità, invece, riguardano anche la corretta e sufficiente ventilazione naturale degli ambienti, il tasso di umidità relativa nell’abitazione, il corretto funzionamento degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva, come anche il corretto collegamento della cappa della cucina alla canna fumaria condominiale. Queste sono tutte cose, a loro volta “normate” sia nel regolamento edilizio, sia nel regolamento di igiene che, raramente vengono richieste nei colloqui con gli uffici tecnici municipali, però esistono e vengono asseverate dal professionista.
Conformità urbanistica
Su questo argomento, benché sia il nostro pane quotidiano, nel riscontrare mancanze mi trovo sempre di fronte alla stessa risposta: ma il Municipio non ha eccepito nulla! Bene, noi professionisti operiamo come persone esercenti un servizio di pubblica necessità, ai sensi degli artt. 359 e 481 C.P.P, ovvero ci sostituiamo agli organi della pubblica amministrazione nelle attestazioni di condizioni (come per l’agibilità) e conformità di lavori (come in tutte le pratiche edilizie, sia comunicative che segnalative). Inoltre, in caso di falsa rappresentazione con dolo o colpa grave, la pubblica amministrazione può, entro i 18 mesi successivi, annullare in autotutela il documento