Recependo il principio di uguaglianza e ragionevolezza espresso dalla Corte Costituzionale, la Regione Lazio ha completamente rivisto il regime sanzionatorio relativamente agli interventi, in totale difformità o con variazioni essenziali realizzati senza titolo e quindi nel regime dell’accertamento di conformità.
La Regione Lazio ha rivisto il regime sanzionatorio dell’art. 22 con le modifiche intervenute con la L.R. 1/2020, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2019 che ha annullato il comma a) dell’art. 22, relativamente agli interventi di nuova costruzione, in totale difformità o con variazioni essenziali realizzati senza titolo e quindi nel regime dell’accertamento di conformità, che prevedeva una sanzione pecuniaria pari al valore dell’intervento eseguito.
Analisi della Sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2019
Tutto nasce da un immobile realizzato senza titolo edilizio, ma conforme agli strumenti urbanistici attuali ed in vigore al momento della sua realizzazione (cd. Doppia conformità ex art. 36 TUEd). Il committente rifiuta il pagamento della sanzione pecuniaria, facendosi di fatto negare l’accertamento di conformità richiesto, alludendo al fatto che la sanzione richiesta ai sensi dell’art. 22 comma a) non rispettava il rispetto del principio di uguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3 della Costituzione Italiana.
La Corte Costituzionale ritiene fondata la censura, che prospetta la violazione, da parte del legislatore regionale, del principio di ragionevolezza.
Viene fatto riferimento alla proporzionalità della sanzione, prendendo come riferimento l’art. 38 del TUEd, relativo ad interventi eseguiti sulla base di un permesso di costruire annullato d’ufficio, le cui sanzioni sono equiparate dalla vecchia legge regionale ma, di fatto, si riferiscono a due casistiche completamente differenti. Da un lato un intervento eseguito senza titolo ma conforme agli strumenti urbanistici, dall’altro un intervento eseguito in difformità sulla base di un titolo edilizio annullato dal Comune e non demolibile, pertanto si sottintende non rispondente agli strumenti urbanistici.
Nella sentenza si legge che la previsione di identiche conseguenze per condotte omogenee, ma caratterizzate da un minor disvalore dell’una rispetto all’altra, si traduce in una violazione del principio di ragionevolezza che designa l’illegittimità costituzionale della norma in esame per violazione dell’art. 3 Cost., con assorbimento dell’ulteriore profilo di censura ad essa riferito.
Questa la motivazione della Corte Costituzione che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera a), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico‐edilizia). Restano invariati i regimi sanzionatori delle lettere b) e c) del medesimo articolo.
Riflessioni giuridico operative sulle sanatorie in corso
In base al principio tempus regit actum[1],per le sanatorie “rilasciate” successivamente all’entrata in vigore della L.R. 1/2020, dovrà ritenersi necessario quantificare l’oblazione in base a tale legge e non in base alle disposizioni abrogate.
Il richiamato principio del tempus regit actum peraltro trova applicazione non solo ai permessi di costruire in sanatoria ma anche alle SCIA in sanatoria (sia ex art. 22 TUEd sia ex art. 23 TUEd, come da – peraltro discutibile – prassi consolidata al livello laziale, sulla quale non è questa la sede per soffermarsi).
Ciò in quanto, sempre per rimanere in tema di “prassi”, l’attuale linea interpretativa seguita dalla Regione Lazio è quella per cui a fronte di una SCIA ex art. 22 L.R. 15/2008 il titolo in sanatoria necessita, per la sua formazione, di un atto espresso (parere regionale prot. 0705439 del 9.11.2018). Così ragionando, dunque, la data a cui guardare per individuare la norma applicabile ai fini della individuazione della oblazione dovuta è quella del provvedimento in cui l’Amministrazione attesta l’avvenuta sanatoria a seguito della SCIA ex art. 22 L.R. 15/2008[2].Da tanto consegue, ulteriormente, che se nella pratica di SCIA in sanatoria, presentata prima della L.R. 1/2020, era stata quantificata una oblazione in base alla precedente versione dell’art. 22 L.R. 15/2008, si può senz’altro immaginare (a buon diritto, sulla base dei principi esaminati fin qui) di chiedere il conguaglio (evidentemente in positivo, in questo caso).
Riflessioni giuridico operative sulle sanatorie compiute antecedentemente all’entrata in vigore della L.R. 1/2020
Qui il discorso è (ancora) meno lineare e lo si affronta avvertendo che le ipotesi che ci si accinge a sottoporre sono suscettibili di esiti non certi.
Infatti, a stretto rigore è del tutto legittimo che l’oblazione sia stata richiesta/liquidata secondo le previgenti regole.
Tuttavia, è ipotizzabile (condizionale d’obbligo), a fronte di una oblazione quantificata ante L.R. 1/2020, la via della “rideterminazione”.
Il primo caso – il “meno complesso” – è quello di una oblazione versata in base ad un titolo in sanatoria ancora impugnabile[3]. In tale ipotesi, ben potrebbe impugnarsi il titolo (ancorché favorevole, in merito all’avvenuta regolarizzazione dell’opera), sollevando nel relativo giudizio questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, co. 2, lett. b), la quale potrebbe avere discrete possibilità di essere ritenuta fondata (per evidente simmetria/analogia a quella ritenuta fondata dalla Corte Costituzionale con la già esaminata Sent. 2/2019): in caso di accoglimento della questione, si produrrebbe la rimozione della “base” per l’imposizione dell’oblazione secondo l’art. 22, co. 2, lett. b) previgente.
Ben più complesso il caso di una oblazione versata e conseguente ad un “titolo in sanatoria” risalente ad oltre 60/120 gg.: in tal caso non vi sarebbe più la possibilità di impugnare il titolo in sanatoria.
Potrebbe quindi, in tale più complesso caso, ipotizzarsi di avanzare una azione giurisdizionale per la rideterminazione dell’oblazione, la cui ammissibilità (ossia: tempestività) potrebbe essere sostenuta in base a quella giurisprudenza secondo cui tali azioni di accertamento sono soggette non al termine di impugnativa del provvedimento di sanatoria (60/120 gg., come detto) ma in quello di prescrizione ordinario di 10 anni (ad es. TAR Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 13.6.2017, n. 201). Anche in questo caso, nel giudizio potrà essere sollevata la già ipotizzata questione di legittimità costituzionale.
Infine, sempre seguendo il ragionamento appena svolto, è addirittura possibile ipotizzare anche azioni volte a far valere la già dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 22, co. 2, lett. a) della L.R. 15/2008 e, quindi, la rideterminazione dell’oblazione versata sulla base di una norma poi rivelatasi illegittima[4].
Una precisazione finale e che vale per tutte le sopra esaminate ipotesi di azioni volte al recupero di oblazioni “già versate”: secondo un orientamento giurisprudenziale (opposto quindi a TAR Emilia-Romagna 201/2017 prima richiamata), le somme corrisposte a titolo di oblazione non sarebbero mai contestabili dopo il versamento delle stesse (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.5.2017, n. 1056). Il che rende le ipotesi sviluppate comunque complesse, oltre che raccomandabile la immediata contestazione/impugnazione delle quantificazioni dell’oblazione.
Analisi della L.R. n. 1/2020 – Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione.
Le modifiche attuate dalla legge regionale 1/2020(pubblicata sul B.U.R.L. n. 17 supplemento n. 2 del 27/02/2020) sono molteplici, al momento analizzeremo esclusivamente il regime sanzionatorio che, a distanza di quasi un anno, il legislatore regionale ha completamente riscritto, recependo il principio di uguaglianza e ragionevolezza espresso dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2019. Il nuovo art. 2 comma 2 recita:
Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività in sanatoria (da intendersi oggi, in base al TUEd, segnalazione certificata di inizio attività) sono subordinati al pagamento, a titolo di oblazione:
-lett. Abis) nei casi previsti dall’art. 15, di un importo pari a tre volte il contributo di costruzione
-lett. B) nei casi previsti dagli art. 16 e 18, di un importo pari a due volte il contributo di costruzione
-lett. C) nei casi previsti dall’art. 19, di un importo da un minimo di mille euro ad un massimo di 10 mila euro, in relazione alla gravità dell’abuso. (si segnala che questo articolo non è stato riscritto)
Vediamo nel dettaglio le sanzioni pecuniarie:
TABELLA DI CONFRONTO DELLE SANZIONI PECUNIARIE | ||
L.R. 15/08 originale | L.R. 15/08 / L.R. 1/2020 | |
art. 15 | VALORE INTERVENTO | 3 X C.C.C. |
artt. 16/18 | 2 X INCREMENTO VALORE INTERVENTO | 2 X C.C.C. |
3 X C.C. | ||
art. 19 | DA 1.000 € A 10.000 € | DA 1.000 € A 10.000 € |
C.C.C. = contributo afferente il costo di costruzione art. 16 DPR 380/2001
C.C. = costo di costruzione su edifici esistenti è la stima dei lavori calcolato con computo metrico estimativo redatto con il prezzario regionale.
Si nota un cambiamento radicale del regime sanzionatorio, più in linea con quello previsto ed utilizzato fino al 2008 del testo unico, ad esempio la stima dei costi di regolarizzazione di una finestra con intervento = 2.000 € ha questa differenza di sanzione pecuniaria:
Precedente regime sanzionatorio, ante L.R. 1/2020
3 x C.C. + C.C.C. = (3 x 2.000 €) + (2.000 € x (R1+R2+R3)/100)
Ipotizzando R1+R2+R3 ≃ 8% otteniamo:
6.000 € + 160 € = 6.160 € oltre i diritti di segreteria
Attuale regime sanzionatorio, post L.R. 1/2020
2 x C.C.C. + C.C.C.
Ipotizzando R1+R2+R3 ≃ 8% otteniamo:
160 € + 320 € = 480 € oltre i diritti di segreteria
Appare lampante la sragionevolezza del precedente impianto normativo, circa 13 volte l’attuale in termini economici della sanzione pecuniaria richiesta. Lo stesso vale anche per gli interventi di cui alla lettera a) che, dapprima andavano calcolati secondo il principio del valore ed oggi hanno 3 volte il contributo afferente al costo di costruzione, in questo caso c’è un gap ancora maggiore tra i due principi sanzionatori adottati.
E la delibera 44/2009 di Roma Capitale?
Qui si annida un problema non indifferente: tecnicamente tale delibera – che si fonda proprio sul “vecchio” art. 22 L.R. 15/2008 – è ancora in vigore e “teoricamente” sino alla sua rettifica da parte di Roma Capitale gli uffici sarebbero tenuti ad applicarla, così “dovendo” giungere ad adottare provvedimenti illegittimi.
Tuttavia, nell’applicare la stessa, si perverrebbe necessariamente ad un provvedimento illegittimo, in quanto violativo del (nuovo) art. 22 L.R. 15/2008. È auspicabile, quindi, non solo che Roma Capitale riveda – con urgenza – l’intero impianto della Delibera 44/2009 relativamente alle oblazioni per accertamento di conformità ma che, nel frattempo, venga adottato un atto formale di indirizzo che inviti gli uffici competenti ad applicare direttamente la legge, “mettendo da parte” (disapplicando) la Delibera, ormai disallineata rispetto alla legge.
Ringrazio l’Avv. Andrea Di Leo, dello studio LEGAL-Team di Roma per la preziosa collaborazione alla stesura dell’articolo
[1] In base al quale si deve applicare la norma vigente al momento dell’adozione del provvedimento, anche ai fini della determinazione di quanto dovuto a titolo di oneri (Cons. Stato, Sez. IV, 9.7.2011, n. 4133).
[2]Diversamente, laddove si dovesse accogliere la tesi – seguita dalla giurisprudenza amministrativa e più aderente al TUEd – per cui il meccanismo di sanatoria è quello “silente”, ne conseguirebbe che il momento a cui guardare è quello della presentazione della SCIA, come ad esempio osservato da Cons. Stato, Sez. IV, 4.9.2012, n. 4669.
[3] Quindi risalente a non oltre 120 gg., termine per avanzare ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, o 60 gg., termine per agire dinanzi al TAR.
[4] Secondo un orientamento giurisprudenziale (ad es. Cass. Trib. 20.1.2016, n. 969) infatti le sentenze della Corte Costituzionale possono estendere i propri effetti retroattivamente con il solo limite dei c.d. rapporti esauriti (il che, in assenza di prescrizione, non potrebbe dirsi).